Domande Legali

Il centro commerciale è qualificabile come utenza non domestica che produce rifiuti urbani di cui all’art. 183, comma 1, lettera b-ter), numero 2, del Codice Ambientale (come rifiuti indifferenziati, i rifiuti di imballaggio e quelli organici). Dunque, tendenzialmente, sulle superfici produttive di questi rifiuti viene calcolata la tassa sui rifiuti (Ta.Ri). Per abbassare l’ammontare della tassa, il centro commerciale potrebbe adottare diverse strategie. Le principali sono: - Aumentare la percentuale di raccolta differenziata laddove il Regolamento comunale associ riduzioni tariffarie o premialità all’aumentare del conferimento di frazioni di rifiuti differenziate; - Verificare attentamente se vi siano aree produttive, esclusivamente, di rifiuti speciali (ad esempio aree in cui si generano soltanto imballaggi terziari). In tal caso vi sarebbe la possibilità di domandare l’esclusione di questa area dall’assoggettamento a tribuito; - Affidarsi ad un operatore privato per l’avvio a riciclo/recupero (sul punto vedasi Regolamento comunale) dei propri rifiuti urbani. Ciò permetterebbe di ottenere una riduzione proporzionale della quota variabile della Ta.Ri.; - Verificare se il Regolamento Ta.Ri. applicabile riconosca la riduzione della quota variabile a fronte della donazione di beni alimentari ai sensi dell’art. 1, comma 652, della Legge n. 147/2013 e agire di conseguenza.

La Legge quadro sull’impatto acustico (Legge n. 447 del 26 ottobre 1995) stabilisce che: - compete alle Regioni definire le modalità di rilascio delle autorizzazioni comunali per lo svolgimento di attività temporanee e di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico qualora esso comporti l’impiego di macchinari o di impianti rumorosi; - compete ai Comuni autorizzare lo svolgimento di attività temporanee e di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico e per spettacoli a carattere temporaneo ovvero mobile, nel rispetto delle prescrizioni indicate dal Comune stesso. Dunque, per stabilire se e come il cantiere con macchinari rumorosi debba essere autorizzato per il suo impatto acustico sarà necessario verificare la normativa regionale e comunale al riguardo.

Innanzitutto, in mancanza di una definizione legislativa, per “bene in polietilene” si può intendere qualsiasi manufatto immesso sul mercato nazionale realizzato in polietilene in tutto o in parte, a prescindere dalla quota di polietilene presente, salvo le ipotesi di cui all’art. 234, co. 1, d.lgs. 152/06, in forza del quale non sono beni in polietilene: gli imballaggi, i rifiuti elettrici ed elettronici, i rifiuti sanitari, i veicoli fuori uso, i rifiuti contenenti amianto, le pile e gli accumulatori. Detto ciò, ai sensi dell’art. 234, co. 4, d.lgs. 152/2006, devono partecipare ad apposito Consorzio (ad oggi, PolieCo o Ecopolietilene) i seguenti soggetti: - i produttori e gli importatori di beni in polietilene – categoria A; - gli utilizzatori e i distributori di beni in polietilene – categoria B; - i riciclatori e i recuperatori di rifiuti di beni in polietilene – categoria C. Successivamente al perfezionamento dell’adesione, i consorziati saranno tenuti a comunicare con determinate scadenze la dichiarazione periodica, da cui deriverà l’ammontare del contributo da versare al Consorzio medesimo.

Si consideri anzitutto che il tema è stato affrontato dal MASE nell’ambito dell’interpello ambientale n. 7310 del 16/01/2025. Un’impresa che importa batterie per utilizzo proprio, senza cederle a terzi, è qualificata come utilizzatore finale e non come produttore, con dunque esonero dagli obblighi previsti in capo a quest’ultimo. Inoltre, l’importatore utilizzatore finale non è tenuto a verificare l’iscrizione del proprio fornitore estero al Registro nazionale pile e accumulatori. Quanto detto resta valido anche nell’ambito del Regolamento (UE) 2023/1542 relativo alle batterie e ai rifiuti di batterie.

Il d.lgs. 49/2014 definisce le apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE) come “le apparecchiature che dipendono, per un corretto funzionamento, da correnti elettriche o da campi elettromagnetici”. All’interno dell’Allegato IV del medesimo decreto, tra le AEE della categoria 5 (apparecchiature di piccole dimensioni), si fa riferimento ai “giocattoli elettrici ed elettronici”. Sulla scorta di tali riferimenti, sembrerebbe che un peluche a batterie sia AEE, con la conseguenza che esso partecipa all’insieme di regole (dalla fabbricazione allo smaltimento) dettate per questa tipologia di prodotti all’interno del d.lgs. 49/2014. Nondimeno, per una migliore cognizione della definizione di AEE, giova richiamare il documento “Frequently Asked Questions (FAQ) on the WEEE Directive” della Commissione Europea. Qui troviamo specificato che la formulazione “dipendono, per un corretto funzionamento, da correnti elettriche o da campi elettromagnetici” “significa che l’apparecchiatura ha bisogno di correnti elettriche o campi elettromagnetici per svolgere la sua funzione di base (cioè, quando la corrente elettrica è assente, l’apparecchiatura non può svolgere la sua funzione di base). Se l’energia elettrica viene utilizzata solo per funzioni di supporto o di controllo, questo tipo di apparecchiatura non rientra nella direttiva.” In altri termini, stando alla Commissione europea un oggetto è un AEE se la sua “funzione di base” dipende dalla corrente elettrica o campi elettromagnetici. Questa valutazione si richiede, pertanto, anche rispetto ai giocattoli a batteria. La domanda che occorre porsi è: il giocattolo svolge la propria funzione di base anche senza batteria? Rispondendo a questa domanda si è, ad esempio, portati ad includere nelle AEE: le bambole/peluche il cui utilizzo principale dipende da batterie (ad esempio che rispondono a comandi vocali), strumenti musicali elettronici per bambini o console per videogioco portatili.

La questione è stata approfondita e risolta dalla Cassazione Penale con la sentenza n. 8391 del 28 febbraio 2025. L’art. 358 c.p. prevede che “"... sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio", ovvero "un'attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di questa ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale". Pertanto, l'attività dell'incaricato di un pubblico servizio - al pari della pubblica funzione - è disciplinata da norme di diritto pubblico ma - a differenza di questa - è priva di poteri autoritativi e certificativi. Inoltre, nessuna incertezza esegetica è stata manifestata in relazione alla esclusione della qualifica di incaricato di pubblico servizio, laddove l'agente sia assegnatario di mere mansioni d'ordine ovvero presti un'opera meramente materiale. Ciò posto, con riferimento agli operatori delle cd. isole ecologiche, è anzitutto fuor di dubbio la riconducibilità dell'attività ad un pubblico servizio. A questo punto occorre valutare l’attività svolta dagli operatori. Spesso accade che questi svolgano, oltre che mansioni di custodia e di vigilanza dell'area, anche funzioni valutative in merito alla natura dei rifiuti conferiti: la distinzione tra rifiuti pericolosi e non pericolosi, tra quelli destinati allo smaltimento e/o al successivo recupero, nonché la valutazione in ordine alla non conferibilità del rifiuto per la potenziale esposizione a pericolo della salute, dell'ambiente e della sicurezza degli operatori ed utenti. Lo svolgimento di siffatte funzioni valutative fa degli operatori degli incaricati di pubblico servizio. Diverso sarebbe per coloro che, ad esempio, si limitino al compimento di attività esecutive e materiali, come quella di riporre il rifiuto nel cassonetto e/o di compilare il modulo in esecuzione di prescrizioni impartite dai superiori gerarchici.

Nel contesto del Regolamento REACH, le sostanze incluse nell’Allegato XIV sono definite “sostanze estremamente preoccupanti” (SVHC), il cui uso è soggetto ad autorizzazione per limitare i rischi per la salute umana e l’ambiente. L’obiettivo è incentivare la sostituzione progressiva di tali sostanze con alternative più sicure. Tuttavia, il Regolamento prevede alcuni meccanismi che semplificano gli obblighi per gli utilizzatori a valle. In particolare, l’articolo 56, paragrafo 2 del REACH stabilisce che gli utilizzatori a valle possono usare una sostanza soggetta ad autorizzazione senza dover ottenere direttamente un'autorizzazione, a condizione che: • l'autorizzazione per quello specifico uso sia stata già concessa a un attore a monte nella catena di approvvigionamento (es. il fornitore); • l'utilizzatore a valle rispetti scrupolosamente le condizioni di utilizzo indicate in tale autorizzazione. Questa disposizione riflette un principio di efficienza normativa: anziché richiedere che ogni singolo utilizzatore a valle presenti una propria domanda, si consente di “beneficiare” di un’autorizzazione già rilasciata, evitando duplicazioni amministrative e costi aggiuntivi. Resta comunque l’obbligo, in condizioni ordinarie, di notificare all’ECHA l’utilizzo della sostanza entro tre mesi dalla prima fornitura, ai sensi dell’art. 66 del REACH.

Nel sistema normativo italiano, l’operazione R13 è definita come “messa in riserva di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni da R1 a R12”, come previsto dall’Allegato C, parte IV, del D.Lgs. 152/2006. Si tratta di un’attività preliminare, di mero stoccaggio, che non prevede trattamenti o trasformazioni del rifiuto. A fronte di questa definizione, ci si potrebbe attendere che un rifiuto possa essere gestito in R13 una sola volta, e che debba poi essere avviato direttamente ad un’operazione effettiva di recupero (da R1 a R12). Tuttavia, la normativa non vieta espressamente il passaggio da un R13 a un altro R13 – quello che in gergo viene chiamato “doppio R13”. La possibilità di inviare rifiuti da un impianto R13 a un altro impianto R13 dipende dal tipo di autorizzazione dell’impianto ricevente: 1. Se l’impianto ricevente è autorizzato con procedura ordinaria (ex art. 208 D.Lgs. 152/06): Il passaggio da R13 a R13 è ammesso solo se l’impianto di destinazione è anche autorizzato a un’operazione di recupero “effettiva” (da R1 a R12). In questo caso, il secondo R13 è funzionale a un recupero concreto e il passaggio è giustificato. Se invece l’impianto è autorizzato esclusivamente in R13, il passaggio non è lecito. 2. Se l’impianto ricevente è autorizzato in procedura semplificata (ai sensi degli artt. 214-216): Qui la disciplina è diversa. Il DM 05/02/1998 consente espressamente un passaggio R13 → R13 una sola volta e solo se la messa in riserva comprende attività come cernita, selezione, frantumazione, macinazione o riduzione volumetrica. Queste attività sono normalmente associate all’operazione R12, ma in regime semplificato possono essere integrate nell’R13, come confermato dalla giurisprudenza (es. TAR FVG, sent. n. 89/2016). È quindi fondamentale verificare che la certificazione di iscrizione dell’impianto destinatario elenchi esplicitamente queste operazioni.

Sì, il recupero dei rifiuti urbani può essere affidato dagli Enti di governo dell’ATO, ma l’affidamento congiunto delle attività di raccolta, trasporto, recupero e smaltimento a un unico operatore (gestione integrata verticale) è consentito ma non favorito dalla normativa. La gestione integrata verticale non trova una base normativa di favore, a differenza di quella orizzontale (su base territoriale), espressamente promossa dall’art. 200 D.Lgs. 152/2006. Come chiarito dal T.A.R. Lombardia – Brescia, Sez. I, sent. n. 140/2025, l’integrazione verticale è ammessa solo se sorretta da un’adeguata istruttoria e da motivazioni proporzionate, in quanto può limitare la concorrenza ed escludere le PMI non titolari di impianti. La sentenza richiama l’AGCM, che individua l’integrazione verticale come una criticità concorrenziale, da ammettere solo in casi eccezionali (es. fallimento del mercato) e non come regola. Pertanto, l’ATO può affidare anche il recupero, ma l’integrazione verticale va giustificata caso per caso, pena l’illegittimità dell’affidamento.

L’art. 7, comma 2, del D.P.R. 254/03 prevede che l’avvio e la conduzione di impianti di sterilizzazione in situ, cioè collocati all’interno della struttura sanitaria, possa essere compiuto, in deroga all’ordinaria autorizzazione al trattamento dei rifiuti, per il tramite di una comunicazione preventiva alla Provincia e convalida dell’impianto prima della messa in funzione. Tale deroga vale solo per gli impianti che trattano esclusivamente i rifiuti prodotti dalla struttura sanitaria in cui è ubicato o quelli “prodotti dalle strutture sanitarie decentrate ma organizzativamente e funzionalmente collegate con la stessa.” Nondimeno, occorre aggiungere che laddove l’impianto produca emissioni in atmosfera e/o scarichi (industriali o domestici fuori fognatura) da autorizzare, risulterà necessario presentare istanza di AUA, che dovrà ricomprendere anche il titolo in acustica. Pertanto, se è vero che la normativa sui rifiuti sanitari introduce una deroga all’ordinaria autorizzazione per gli impianti di trattamento rifiuti, per l’autorizzazione completa dell’impianto de quo dovrà valutarsi se esso produca emissioni in atmosfera o scarichi da autorizzare.